mercoledì, gennaio 26, 2005
Le ammaliatrici
Le emozioni suscitate dalla “supplenta” e dalla Falugiani, per quanto grandi nei nostri ricordi, mi hanno ispirato a citare, per chi non la conoscesse, la seguente scala della capacità di seduzione (da "Se non ora, quando?", di Primo Levi).
Raab e le altre ammaliatrici della leggenda talmudica. Mendel ne aveva trovato le tracce in un vecchio libro del suo maestro rabbino: un libro vietato, ma Mendel sapeva dov'era nascosto, e l'aveva sfogliato furtivamente più volte, con la curiosità del tredicenne...
Michàl affascinava chi la vedeva.
Giaele, che aveva trafitto le tempie del generale nemico con un chiodo, seduceva tutti gli uomini col solo suono della sua voce.
Abigaìl, la regina assennata, seduceva chiunque pensasse a lei.
Raab, la seduttrice di Gerico, qualsiasi uomo pronunciasse soltanto il suo nome spandeva istantaneamente il seme.
Roberto (di giorno, elementare Watson)
Raab e le altre ammaliatrici della leggenda talmudica. Mendel ne aveva trovato le tracce in un vecchio libro del suo maestro rabbino: un libro vietato, ma Mendel sapeva dov'era nascosto, e l'aveva sfogliato furtivamente più volte, con la curiosità del tredicenne...
Michàl affascinava chi la vedeva.
Giaele, che aveva trafitto le tempie del generale nemico con un chiodo, seduceva tutti gli uomini col solo suono della sua voce.
Abigaìl, la regina assennata, seduceva chiunque pensasse a lei.
Raab, la seduttrice di Gerico, qualsiasi uomo pronunciasse soltanto il suo nome spandeva istantaneamente il seme.
Roberto (di giorno, elementare Watson)
venerdì, gennaio 21, 2005
La notte delle lunghe forchette
Due cose:
1)a proposito di lunghi stecchini: al Museo Nazionale a Wellington (Te Papa)nella sezione polinesiana, c'e' una forchetta lunga un metro e mezzo, proveniente, se ben ricordo, dalle Isole Cook. Allora, il forchettone aveva il seguente uso: quando i guerrieri mangiavano i nemici uccisi, la cosa avveniva in un recinto sacro, in cui gli schiavi non erano ammessi. Ma i guerrieri non dovevano toccare il cibo - una bassa funzione a cui erano addetti gli schiavi. Ohibo', come fare? Ecco che torna comodo in forchettone: con quello lo schiavo poteva nutrire il glorioso stando fuori dal recinto.
2) Rileggo che Gherardo vota per la supplenta, adducendo autocelebrative motivazioni di grande amore per la matematica. Ma mi faccia il piacere, caro dottore! Hai votato per la supplenta perche' il di lei infracoscio ti aveva sconvolto la mente, a tal punto che non solo ci guidasti nella distruzione della barricata della Minicucci, ma addirittura quell'affanno ti si e' cancellato dalla memoria.
A tutti abbracci
Jacopo
1)a proposito di lunghi stecchini: al Museo Nazionale a Wellington (Te Papa)nella sezione polinesiana, c'e' una forchetta lunga un metro e mezzo, proveniente, se ben ricordo, dalle Isole Cook. Allora, il forchettone aveva il seguente uso: quando i guerrieri mangiavano i nemici uccisi, la cosa avveniva in un recinto sacro, in cui gli schiavi non erano ammessi. Ma i guerrieri non dovevano toccare il cibo - una bassa funzione a cui erano addetti gli schiavi. Ohibo', come fare? Ecco che torna comodo in forchettone: con quello lo schiavo poteva nutrire il glorioso stando fuori dal recinto.
2) Rileggo che Gherardo vota per la supplenta, adducendo autocelebrative motivazioni di grande amore per la matematica. Ma mi faccia il piacere, caro dottore! Hai votato per la supplenta perche' il di lei infracoscio ti aveva sconvolto la mente, a tal punto che non solo ci guidasti nella distruzione della barricata della Minicucci, ma addirittura quell'affanno ti si e' cancellato dalla memoria.
A tutti abbracci
Jacopo
mercoledì, gennaio 19, 2005
Chi è reticente (a firmare) ?
Da Gherardo
La "fiaba cinese", peraltro molto bellina e garbata, chi l'ha immessa ?
Spesso il "reticente" alla firma è Roberto, ma l'ora di immissione (10:29 AM) è inconsueta per lui.
Quindi: chi è che non ha firmato questa volta ?
Ciao a tutti
Gherardo
PS
Ho fatto questo esercizio di analisi poliziesca (l'apparente non congruità fra Roberto e l'ora mattutina) per vedere se, ora che sono pensionando, riesco a farmi dare una "consuilenza" dai Carabinieri del RIS di Parma !
La "fiaba cinese", peraltro molto bellina e garbata, chi l'ha immessa ?
Spesso il "reticente" alla firma è Roberto, ma l'ora di immissione (10:29 AM) è inconsueta per lui.
Quindi: chi è che non ha firmato questa volta ?
Ciao a tutti
Gherardo
PS
Ho fatto questo esercizio di analisi poliziesca (l'apparente non congruità fra Roberto e l'ora mattutina) per vedere se, ora che sono pensionando, riesco a farmi dare una "consuilenza" dai Carabinieri del RIS di Parma !
martedì, gennaio 18, 2005
Una fiaba cinese
Dopo una lunga vita un cinesegiunse nell'aldila' e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosita' e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontento' e lo condusse all'inferno.
Si trovo' in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi e pietanze succulente e di golosita' inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pieta'.
"Com'e' possibile?", chiese l’uomo alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".
"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi piu' di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremita'. Solo cosi' possono portarsi il cibo alla bocca".
Il cinese rabbrividi'. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno! Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi piu' di un metro, da impugnare all'estremita' per portarsi il cibo alla bocca. C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
"Ma com'e' possibile?", chiese il cinese.
L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perche' si sono sempre comportati cosi' nella vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Probabilmente il paradiso e l’inferno non esistono, ma sarebbe bene tenerne conto ugualmente, almeno in Cina si intende.
Hans Christian Andersen
Si trovo' in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi e pietanze succulente e di golosita' inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pieta'.
"Com'e' possibile?", chiese l’uomo alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".
"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi piu' di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremita'. Solo cosi' possono portarsi il cibo alla bocca".
Il cinese rabbrividi'. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno! Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi piu' di un metro, da impugnare all'estremita' per portarsi il cibo alla bocca. C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
"Ma com'e' possibile?", chiese il cinese.
L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perche' si sono sempre comportati cosi' nella vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Probabilmente il paradiso e l’inferno non esistono, ma sarebbe bene tenerne conto ugualmente, almeno in Cina si intende.
Hans Christian Andersen
mercoledì, gennaio 12, 2005
Casi di coscienza e notti magiche
Colpito dai casi di coscienza, che sul gianblog sembrano aver preso il sopravvento sulle cosce, rimugino in una pessima nottata: i turisti che sono a Firenze per le manifestazioni di Pitti sono di quelli che di giorno non si stancano per musei, mentre la notte tirano tardi.
Pertanto vi passo le indicazioni seguenti che ho usato per consolarmi. Fatene buon uso.
Quando hai uno di quei giorni in cui il tuo lavoro ti pesa, prova questo metodo: tornando a casa entra in farmacia e compera un termometro rettale fatto da Johnson and Johnson, sii sicuro di prendere questa marca.
Quando sei a casa, chiudi la porta, spogliati, stacca il telefono cosi' non sei disturbato durante la terapia. Mettiti in abiti comodi e sdraiati sul letto, apri la scatola del termometro, posalo sul comodino con cura perche' non si rompa, prendi il foglietto che lo accompagna e leggilo: noterai che riporta la seguente dichiarazione
"OGNI TERMOMETRO RETTALE PRODOTTO DA JOHNSON AND JOHNSON E' TESTATO PERSONALMENTE"
Adesso chiudi gli occhi e per 5 volte ripeti ad alta voce: "Sono cosi' felice di non lavorare per il controllo qualita' della Johnson and Johnson" , e ricorda c'e' sempre qualcuno che ha un lavoro piu' schifoso del tuo.
Buonanotte da Roberto
P.S. L'affare della sveglia ebbe luogo proprio nella "nostra" terza C.
Pertanto vi passo le indicazioni seguenti che ho usato per consolarmi. Fatene buon uso.
Quando hai uno di quei giorni in cui il tuo lavoro ti pesa, prova questo metodo: tornando a casa entra in farmacia e compera un termometro rettale fatto da Johnson and Johnson, sii sicuro di prendere questa marca.
Quando sei a casa, chiudi la porta, spogliati, stacca il telefono cosi' non sei disturbato durante la terapia. Mettiti in abiti comodi e sdraiati sul letto, apri la scatola del termometro, posalo sul comodino con cura perche' non si rompa, prendi il foglietto che lo accompagna e leggilo: noterai che riporta la seguente dichiarazione
"OGNI TERMOMETRO RETTALE PRODOTTO DA JOHNSON AND JOHNSON E' TESTATO PERSONALMENTE"
Adesso chiudi gli occhi e per 5 volte ripeti ad alta voce: "Sono cosi' felice di non lavorare per il controllo qualita' della Johnson and Johnson" , e ricorda c'e' sempre qualcuno che ha un lavoro piu' schifoso del tuo.
Buonanotte da Roberto
P.S. L'affare della sveglia ebbe luogo proprio nella "nostra" terza C.
domenica, gennaio 09, 2005
Da Roma-Sidney a Sidney-Roma
Cari amici, o ragazzacci, come dice Jac,
prendo spunto dal racconto di Jac per farne uno anche io, “legato” a quello di Jac per il volo Sydney-Roma via Bangkok (questa volta in senso inverso); ma andiamo con ordine.
Estate 1978
Ero partito dall’Italia in motocicletta assieme a mia moglie a fine luglio, direzione Asia, via terra: passaggio da Trieste, attraversamento della ex-Jugoslavia in direzione Salonicco (per non attraversare la Bulgaria che pretendeva il pagamento di un fee abbastanza elevato) e poi Istanbul e giù giù fino in Iran. Era l’ultimo anno dello Scià (Komeini arrivò nel 1979) ed il viaggio non ebbe problemi.
Ero partito con una Kawasaky 1000, un po’ modificato nella ciclistica per avere una miglior tenuta di strada, con 18 Kg di pezzi di ricambio, con una gomma posteriore da sostituire a metà viaggio ed una piccola carenatura con borse laterali che per l’epoca erano una assoluta novità, datemi in comodato dal produttore con cui avevo anche un accordo di sponsorizzazione a fronte di un reportage fotografico che facesse vedere la moto (con i suoi accessori in evidenza), in posti esotici. Inoltre avevo anche un pacco di lattine di additivo a base di piombo per aumentare gli ottani della benzina reperibile da quelle parti.
Il viaggio di andata e ritorno dall’Iran non ebbe problemi con due eccezioni:
- rimasi fermo ad Istanbul sulla via del ritorno per 3 o 4 giorni per mancanza di benzina (i distributori ne erano sprovvisti)
- trascorsi una giornata al confine fra Turchia e Grecia (all’epoca sull’orlo di una guerra fra loro) senza che nessuno mi dicesse cosa avrebbe dovuto succedere perché io potessi passare (c’è, anzi c’era, un lungo ponte di ferro fra le due sponde).
Al tramonto decisi “o la va o la spacca”: feci 3 o 4 giretti in moto nell’ambito del parcheggio dove ero bloccato per “abituarli” al mio girottolare in moto e poi …. al 4° giretto imboccai a tutto fuoco il ponte catapultandomi direttamente sul territorio greco. Era andata bene !
Mi presi allora qualche giorno di riposo a Santorini dormendo in tenda su una spiaggia libera (anche lì mancava la benzina e gli alberghi saranno stati in tutto meno di cinque) prima di fare l’ultimo sforzo e tornare a “giacca e cravatta del mercante di informatica dell’IBM”.
Arrivato ad Atene parcheggiai la moto sotto al Partenone per la doverosa full immersion artistico/storica ma ...... ahimè, al mio ritorno non c’era più traccia nè della moto, nè ovviamente dei suoi bagagli.
La prima cosa che mi venne in mente (eravamo dotati dei soli pantaloncini corti, maglietta, borsello con soldi e macchina fotografica, ma senza più i rullini scattati per il previsto reportage) fu di andare alla sede IBM (era lì vicino) ove fui gentilmente accolto ed accompagnato e presentato ad un vicino albergo (appena l’IBMmmide mi lasciò solo il tizio dell’albergo volle i soldi anticipati, non essendo dotato di bagagli da lasciare in ostaggio).
La polizia mi disse con franchezza che da quando i “colonnelli” erano stati destituiti si erano formate delle bande di motociclisti che viaggiavano indisturbati senza targa, presumibilmente con moto straniere rubate, ma che sul momento non potevano farci niente.
In sostanza potevo tornare in Italia a piedi e .... cazzi miei !
Andai allora all’Alitalia dove mi fecero gentilmente presente che per i primi due posti disponibili per l’Italia (era circa il 25 agosto) avrei dovuto attendere due settimane. Rimasi tranquillo e mostrai tutto quello di cui disponevo : niente, a parte una carta di credito ed un po’ di contanti.
L’addetto si assento qualche minuto e poi tornò con un coniglio estratto dal cilindro: “domani passa un jumbo Sydney-Bangkok-Roma con scalo tecnico ad Atene”; c’era posto ed anche se non era teoricamente possibile, ci permettevano di imbarcarci. Così avvenne.
Sull’aereo c‘erano tutti e soli Italiani emigrati in Australia che tornavano a trovare i parenti. Erano tutti col maglione, il cappotto e così via, e durante il tragitto Atene-Fiumicino fu un andi-rivieni alla toelette, dove andavano vestiti da inverno da cui tornavano con camice a fiori stile turista USA.
Ed eccoci alla fine della storia, con un classico esempio di italianità.
Sbarcati a Fiumicino si formò una lunga fila, molto più lenta del solito, per le normali formalità doganali. Risalii la fila, (avevo preso gli orari dei “mezzi” per rientrare a casa e volevo cercare di non perderne uno che sarebbe partito di lì a poco), per rendermi conto di tale lentezza: stavano attentamente guardando i libretti sanitari di tutti. Ne chiesi il motivo e mi fu spiegato che sia per i provenienti dall’Australia, sia per i provenienti dalla Tailandia il libretto sanitario era obbligatorio. Mi resi immediatamente conto che anche io avevo avuto il libretto sanitario (necessario per Turchia ed Iran) ma me lo avevano rubato ad Atene e non figurava nella mia denuncia di furto (peraltro scritta in greco moderno, senza alcuna traduzione) anche perché fra Grecia ed Italia non era necessario alcun formalismo sanitario.
Timidamente, per non far incazzare quelli in fila, feci presente a colui che scrutava attentamente uno per uno i libretti sanitari che io, anche se apparentemente impossibile, arrivavo da Atene (tacqui Turchia ed Iran) e non da Australia o Tailandia e quindi ero sprovvisto del libretto sanitario. La risposta, senza neanche guardarmi, fu: “Ah, lei è montato ad Atene ? Allora salti la ringhiera (di sbarramento), e si accomodi pure”.
Gentilissimo e comprensivo, ma per quel che ne sapeva lui avrei anche potuto essere lebbroso” !
PS
Mi fu “abbuonato” il costo dei 18 Kg di pezzi di ricambio rubati assieme alla moto (secondo me sta ancora girando per la Grecia dopo 26 anni) e della carenatura con borse ma ….. non percepii, ovviamente, una sola lira della prevista sponsorizzazione.
Ciao a tutti
Gherardo
prendo spunto dal racconto di Jac per farne uno anche io, “legato” a quello di Jac per il volo Sydney-Roma via Bangkok (questa volta in senso inverso); ma andiamo con ordine.
Estate 1978
Ero partito dall’Italia in motocicletta assieme a mia moglie a fine luglio, direzione Asia, via terra: passaggio da Trieste, attraversamento della ex-Jugoslavia in direzione Salonicco (per non attraversare la Bulgaria che pretendeva il pagamento di un fee abbastanza elevato) e poi Istanbul e giù giù fino in Iran. Era l’ultimo anno dello Scià (Komeini arrivò nel 1979) ed il viaggio non ebbe problemi.
Ero partito con una Kawasaky 1000, un po’ modificato nella ciclistica per avere una miglior tenuta di strada, con 18 Kg di pezzi di ricambio, con una gomma posteriore da sostituire a metà viaggio ed una piccola carenatura con borse laterali che per l’epoca erano una assoluta novità, datemi in comodato dal produttore con cui avevo anche un accordo di sponsorizzazione a fronte di un reportage fotografico che facesse vedere la moto (con i suoi accessori in evidenza), in posti esotici. Inoltre avevo anche un pacco di lattine di additivo a base di piombo per aumentare gli ottani della benzina reperibile da quelle parti.
Il viaggio di andata e ritorno dall’Iran non ebbe problemi con due eccezioni:
- rimasi fermo ad Istanbul sulla via del ritorno per 3 o 4 giorni per mancanza di benzina (i distributori ne erano sprovvisti)
- trascorsi una giornata al confine fra Turchia e Grecia (all’epoca sull’orlo di una guerra fra loro) senza che nessuno mi dicesse cosa avrebbe dovuto succedere perché io potessi passare (c’è, anzi c’era, un lungo ponte di ferro fra le due sponde).
Al tramonto decisi “o la va o la spacca”: feci 3 o 4 giretti in moto nell’ambito del parcheggio dove ero bloccato per “abituarli” al mio girottolare in moto e poi …. al 4° giretto imboccai a tutto fuoco il ponte catapultandomi direttamente sul territorio greco. Era andata bene !
Mi presi allora qualche giorno di riposo a Santorini dormendo in tenda su una spiaggia libera (anche lì mancava la benzina e gli alberghi saranno stati in tutto meno di cinque) prima di fare l’ultimo sforzo e tornare a “giacca e cravatta del mercante di informatica dell’IBM”.
Arrivato ad Atene parcheggiai la moto sotto al Partenone per la doverosa full immersion artistico/storica ma ...... ahimè, al mio ritorno non c’era più traccia nè della moto, nè ovviamente dei suoi bagagli.
La prima cosa che mi venne in mente (eravamo dotati dei soli pantaloncini corti, maglietta, borsello con soldi e macchina fotografica, ma senza più i rullini scattati per il previsto reportage) fu di andare alla sede IBM (era lì vicino) ove fui gentilmente accolto ed accompagnato e presentato ad un vicino albergo (appena l’IBMmmide mi lasciò solo il tizio dell’albergo volle i soldi anticipati, non essendo dotato di bagagli da lasciare in ostaggio).
La polizia mi disse con franchezza che da quando i “colonnelli” erano stati destituiti si erano formate delle bande di motociclisti che viaggiavano indisturbati senza targa, presumibilmente con moto straniere rubate, ma che sul momento non potevano farci niente.
In sostanza potevo tornare in Italia a piedi e .... cazzi miei !
Andai allora all’Alitalia dove mi fecero gentilmente presente che per i primi due posti disponibili per l’Italia (era circa il 25 agosto) avrei dovuto attendere due settimane. Rimasi tranquillo e mostrai tutto quello di cui disponevo : niente, a parte una carta di credito ed un po’ di contanti.
L’addetto si assento qualche minuto e poi tornò con un coniglio estratto dal cilindro: “domani passa un jumbo Sydney-Bangkok-Roma con scalo tecnico ad Atene”; c’era posto ed anche se non era teoricamente possibile, ci permettevano di imbarcarci. Così avvenne.
Sull’aereo c‘erano tutti e soli Italiani emigrati in Australia che tornavano a trovare i parenti. Erano tutti col maglione, il cappotto e così via, e durante il tragitto Atene-Fiumicino fu un andi-rivieni alla toelette, dove andavano vestiti da inverno da cui tornavano con camice a fiori stile turista USA.
Ed eccoci alla fine della storia, con un classico esempio di italianità.
Sbarcati a Fiumicino si formò una lunga fila, molto più lenta del solito, per le normali formalità doganali. Risalii la fila, (avevo preso gli orari dei “mezzi” per rientrare a casa e volevo cercare di non perderne uno che sarebbe partito di lì a poco), per rendermi conto di tale lentezza: stavano attentamente guardando i libretti sanitari di tutti. Ne chiesi il motivo e mi fu spiegato che sia per i provenienti dall’Australia, sia per i provenienti dalla Tailandia il libretto sanitario era obbligatorio. Mi resi immediatamente conto che anche io avevo avuto il libretto sanitario (necessario per Turchia ed Iran) ma me lo avevano rubato ad Atene e non figurava nella mia denuncia di furto (peraltro scritta in greco moderno, senza alcuna traduzione) anche perché fra Grecia ed Italia non era necessario alcun formalismo sanitario.
Timidamente, per non far incazzare quelli in fila, feci presente a colui che scrutava attentamente uno per uno i libretti sanitari che io, anche se apparentemente impossibile, arrivavo da Atene (tacqui Turchia ed Iran) e non da Australia o Tailandia e quindi ero sprovvisto del libretto sanitario. La risposta, senza neanche guardarmi, fu: “Ah, lei è montato ad Atene ? Allora salti la ringhiera (di sbarramento), e si accomodi pure”.
Gentilissimo e comprensivo, ma per quel che ne sapeva lui avrei anche potuto essere lebbroso” !
PS
Mi fu “abbuonato” il costo dei 18 Kg di pezzi di ricambio rubati assieme alla moto (secondo me sta ancora girando per la Grecia dopo 26 anni) e della carenatura con borse ma ….. non percepii, ovviamente, una sola lira della prevista sponsorizzazione.
Ciao a tutti
Gherardo
Dalle cosce alle coscienze
Cari ragazzucci, se dovessi contare su di voi per l'intrattenimento, sarei nei casini. Visto quindi che non rubo spazio a nessuno, inondero' il blog delle mie profonde considerazioni.
Stavo appunto ripulendo la memoria del computer, quando ecco che mi ritrovo davanti il resoconto di una vicenda neorealistica che mi lascio' a bocca aperta a Sydney, a cavallo del millennio.
Sottopongo la brillante composizione alle vostre socialmente conscie conscienze.
Nota: con questo, dagli ultimi carteggi, siamo piombati dalle cosce alle coscienze. Non butta bene.
Auckland, 18 DEC 99
Aeroporto di Sydney, metà di novembre. In arrivo da Fiumicino/Bangkok, siamo ora in coda al banco del transito quando arriva un ragazzo trafelato in tuta da ginnastica che a gesti mi domanda se siamo in coda. Si. Batte col dito sull'orologio. Glielo faccio vedere. Si passa una mano sulla fronte per farmi capire che è andata bene, non è troppo tardi. L'orologio ce l'ha anche lui, ma evidentemente si è confuso col fuso. Da un paio di parole che ha buttato fuori nel gesticolare ho capito: è italiano. Italiano? Si. Anch' io, Firenze. Castelli Romani. Nell'attesa comincia la conversazione: sta andando a fare il cameriere in NZ, è il suo lavoro, deve prendere un volo per Wellington, dove lo aspetta il suo futuro datore di lavoro. Bene, bravo. Tocca a noi, sistemiamo le cose per l'ultima tratta di volo, Sydney-Auckland.
Stiamo per prendere le borse e salutare, quando mi chiede di aiutarlo: il tizio fa problemi e lui non parla una parola di inglese. L'impiegato al banco mi dice che non lo puo' fare andare in NZ: ha un biglietto di sola andata e da Wellington lo farebbero rimbalzare al porto di imbarco, Sydney, senza nemmeno fargli toccare terra. Una volta a Sydney, senza visto non puotrà uscire dall'aeroporto. Spiego. Mi risponde che ha il visto per L'Australia; mostra il passaporto; ce l'ha davvero.
L'impiegato, saputa la situazione mi spiega che lo può fare partire solo se lui compra un biglietto di uscita dalla NZ. Il meno caro è Fiji. Per seicento mila lire ne può avere uno che costa un po' più caro, ma che e' rimborsabile. Il ragazzo mi fa presente che lui ha solo 400.000 lire. Ahi. Ma non c'è problema, mi assicura, il datore di lavoro lo andrà a prendere all'aeroporto e pagherà un deposito di 10-20 milioni per garantire per lui. Procedura improbabile. So a memoria le condizioni dell' immigrazione kiwi, ci sto passando anche io.
L'impiegato è un santo, lo vuole aiutare. Dice di telefonare al datore di lavoro e fargli versare il costo del biglietto: lo avrà rimborsato appena il ragazzo sara' regolarizzato. Il ragazzo mi chiede se posso fare la telefonata con lui, dice che io posso spiegare meglio come stanno le cose. Va bene. Per telefonare dobbiamo aspettare perché in NZ è troppo presto e il ristorante non è ancora aperto. Un caffé e ci infiliamo nella scatola per fumatori. Si chiacchiera: ha da poco finito il militare. Vuole sapere che ore sono in Italia perché vuole chiamare casa: la mamma. Di babbi non parla, né ora, né poi. Gli ha trovato il lavoro in NZ un amico che ha già piazzato un altro ragazzo che, mi dice, già guadagna 9-10 milioni al mese. Mah! Io sto andando a guadagnarne due. Mi fa vedere una foto: Italia, è una pizzeria; in piedi il padrone e la moglie, seduti i due camerieri, uno avra' una ventina d'anni, l'altro è lui e ne ha dodici. Camerieri e padrone indossano gilè uguali, ramagiati. Sopra di loro il solito arco dipinto di rosso con foto e cartoline attaccate. ”Cazzo, hai cominciato presto". "Eh, è che io questo lavoro proprio lo amo". Il mondo è bello perché è vario.
Arriva l'ora di telefonare. Fa un numero di telefono di Auckland. Ma non devevi andare a Wellington? C'è una giornata di viaggio, o un altro volo, strano, no? E' un po' stupito, ma non dubita: il suo datore di lavoro, emigrato poverello da Napoli anni orsono è oggi padrone di 4 ristoranti: forse lo fa lavorare in un posto diverso. Ricordo la storia dei 10-20 milioni all'aeroporto, ma lasciamo perdere.
Gli risponde il ragazzo da 10 al mese. "Passami Antonio, che sono bloccato in Australia e gli devo spiegare che mi deve comprare un biglietto. Quando torna? Richiamerò".
Richiama di lì a mezz'ora. Il solito ragazzo dice che Antonio e' in vacanza all'estero per una settimana. Lui non tentenna: mi bisbiglia che questo dall'altro capo del filo, secondo lui non gli vuole passare Antonio perché è geloso, non vuole concorrenti. Richiamerò di nuovo.
Ma chi chiamerai di nuovo, se il tizio è in vacanza? No, è lo stronzo che non glielo vuole passare. Spiegami come hai trovato questo lavoro. Allora, c'è un tizio che non è un parente, ma che con la sua famiglia è così (dita accavallate). Traduco nella mia testa: probabilmente è quello che si tromba la mamma. Bene, costui è così anche col napoletano dei ristoranti. Mi fa capire che ci sono stati favori di quelli che indebitano per tutta la vita. Ma sei sicuro che non sia lui che si nega? No, impossibile, mi sta aspettando.
Altra mezz'ora. Si richiama. Stavolta vuole che ci parli anche io. Dice al cameriere: ehi, non è che sei te che non me lo vuoi passare? Non fare lo stronzo, sono in Australia e devo arrivare costì. Poi mi guarda: prova a parlarci te. Chiedo al cameriere da 10: ma il padrone, dov'è? In vacanza. Ma dai! Lui mi dice: guarda, il padrone comunque il biglietto per questo qui non ci pesa nemmeno a pagarlo. Si, ma questo che ci fa qui in Australia? E che ne so. Si riattacca.
Gli spiego che e' il padrone che si nega. Ora e' preoccupato: e io qui cosa faccio? E' ancora presto per chiamare casa. Torniamo al banco: spiego a un altro tizio la situazione e quello mi conferma che l'unica e' il ritorno in Italia. Ma ha solo 400.000. Per fortuna ha il visto, così può andare al consolato e farsi rimpatriare. Traduco. E' disperato. Telefono al consolato. C'è un problema: siccome ha le 400 mila, non è nullatenente, può starsene in albergo fintanto che non gli mandano i soldi per un biglietto da casa. Cerco di spiegare che non parla una parola di inglese, che è sicuramente la prima volta che viaggia all'estero, che fuori dell' aeroporto è perso, che dubito che trovi mai la strada del consolato, figuriamoci un albergo, che la famiglia ha gia' speso più di un milione e mezzo per farlo arrivare lì e che dubito che abbiano disponibilità. Lui e' disperato, vuole chiamare casa. Non fa che dire: e ora cosa faccio? Il nostro aereo sta per partire, gli raccomando, se non possono mandargli soldi da casa, di andare diritto al consolato, in taxi, e di piantarsi lì fino a che non lo rimettono su un aereo. Quando chiamerà casa, veda se il tizio che è accavallato con la sua mamma può telefonare al napoletano. No, è via e tornerà solo tra una dicina di giorni.
Addio Pasquale, stammi bene.
E statemi bene pure voi. Spero abbiate superato la crisi digestiva natalizia senza troppi problemi. Mi raccomando, tenetevi di conto, non avesse a venirvi il crampo dello scrivano.
Jac
Stavo appunto ripulendo la memoria del computer, quando ecco che mi ritrovo davanti il resoconto di una vicenda neorealistica che mi lascio' a bocca aperta a Sydney, a cavallo del millennio.
Sottopongo la brillante composizione alle vostre socialmente conscie conscienze.
Nota: con questo, dagli ultimi carteggi, siamo piombati dalle cosce alle coscienze. Non butta bene.
Auckland, 18 DEC 99
Aeroporto di Sydney, metà di novembre. In arrivo da Fiumicino/Bangkok, siamo ora in coda al banco del transito quando arriva un ragazzo trafelato in tuta da ginnastica che a gesti mi domanda se siamo in coda. Si. Batte col dito sull'orologio. Glielo faccio vedere. Si passa una mano sulla fronte per farmi capire che è andata bene, non è troppo tardi. L'orologio ce l'ha anche lui, ma evidentemente si è confuso col fuso. Da un paio di parole che ha buttato fuori nel gesticolare ho capito: è italiano. Italiano? Si. Anch' io, Firenze. Castelli Romani. Nell'attesa comincia la conversazione: sta andando a fare il cameriere in NZ, è il suo lavoro, deve prendere un volo per Wellington, dove lo aspetta il suo futuro datore di lavoro. Bene, bravo. Tocca a noi, sistemiamo le cose per l'ultima tratta di volo, Sydney-Auckland.
Stiamo per prendere le borse e salutare, quando mi chiede di aiutarlo: il tizio fa problemi e lui non parla una parola di inglese. L'impiegato al banco mi dice che non lo puo' fare andare in NZ: ha un biglietto di sola andata e da Wellington lo farebbero rimbalzare al porto di imbarco, Sydney, senza nemmeno fargli toccare terra. Una volta a Sydney, senza visto non puotrà uscire dall'aeroporto. Spiego. Mi risponde che ha il visto per L'Australia; mostra il passaporto; ce l'ha davvero.
L'impiegato, saputa la situazione mi spiega che lo può fare partire solo se lui compra un biglietto di uscita dalla NZ. Il meno caro è Fiji. Per seicento mila lire ne può avere uno che costa un po' più caro, ma che e' rimborsabile. Il ragazzo mi fa presente che lui ha solo 400.000 lire. Ahi. Ma non c'è problema, mi assicura, il datore di lavoro lo andrà a prendere all'aeroporto e pagherà un deposito di 10-20 milioni per garantire per lui. Procedura improbabile. So a memoria le condizioni dell' immigrazione kiwi, ci sto passando anche io.
L'impiegato è un santo, lo vuole aiutare. Dice di telefonare al datore di lavoro e fargli versare il costo del biglietto: lo avrà rimborsato appena il ragazzo sara' regolarizzato. Il ragazzo mi chiede se posso fare la telefonata con lui, dice che io posso spiegare meglio come stanno le cose. Va bene. Per telefonare dobbiamo aspettare perché in NZ è troppo presto e il ristorante non è ancora aperto. Un caffé e ci infiliamo nella scatola per fumatori. Si chiacchiera: ha da poco finito il militare. Vuole sapere che ore sono in Italia perché vuole chiamare casa: la mamma. Di babbi non parla, né ora, né poi. Gli ha trovato il lavoro in NZ un amico che ha già piazzato un altro ragazzo che, mi dice, già guadagna 9-10 milioni al mese. Mah! Io sto andando a guadagnarne due. Mi fa vedere una foto: Italia, è una pizzeria; in piedi il padrone e la moglie, seduti i due camerieri, uno avra' una ventina d'anni, l'altro è lui e ne ha dodici. Camerieri e padrone indossano gilè uguali, ramagiati. Sopra di loro il solito arco dipinto di rosso con foto e cartoline attaccate. ”Cazzo, hai cominciato presto". "Eh, è che io questo lavoro proprio lo amo". Il mondo è bello perché è vario.
Arriva l'ora di telefonare. Fa un numero di telefono di Auckland. Ma non devevi andare a Wellington? C'è una giornata di viaggio, o un altro volo, strano, no? E' un po' stupito, ma non dubita: il suo datore di lavoro, emigrato poverello da Napoli anni orsono è oggi padrone di 4 ristoranti: forse lo fa lavorare in un posto diverso. Ricordo la storia dei 10-20 milioni all'aeroporto, ma lasciamo perdere.
Gli risponde il ragazzo da 10 al mese. "Passami Antonio, che sono bloccato in Australia e gli devo spiegare che mi deve comprare un biglietto. Quando torna? Richiamerò".
Richiama di lì a mezz'ora. Il solito ragazzo dice che Antonio e' in vacanza all'estero per una settimana. Lui non tentenna: mi bisbiglia che questo dall'altro capo del filo, secondo lui non gli vuole passare Antonio perché è geloso, non vuole concorrenti. Richiamerò di nuovo.
Ma chi chiamerai di nuovo, se il tizio è in vacanza? No, è lo stronzo che non glielo vuole passare. Spiegami come hai trovato questo lavoro. Allora, c'è un tizio che non è un parente, ma che con la sua famiglia è così (dita accavallate). Traduco nella mia testa: probabilmente è quello che si tromba la mamma. Bene, costui è così anche col napoletano dei ristoranti. Mi fa capire che ci sono stati favori di quelli che indebitano per tutta la vita. Ma sei sicuro che non sia lui che si nega? No, impossibile, mi sta aspettando.
Altra mezz'ora. Si richiama. Stavolta vuole che ci parli anche io. Dice al cameriere: ehi, non è che sei te che non me lo vuoi passare? Non fare lo stronzo, sono in Australia e devo arrivare costì. Poi mi guarda: prova a parlarci te. Chiedo al cameriere da 10: ma il padrone, dov'è? In vacanza. Ma dai! Lui mi dice: guarda, il padrone comunque il biglietto per questo qui non ci pesa nemmeno a pagarlo. Si, ma questo che ci fa qui in Australia? E che ne so. Si riattacca.
Gli spiego che e' il padrone che si nega. Ora e' preoccupato: e io qui cosa faccio? E' ancora presto per chiamare casa. Torniamo al banco: spiego a un altro tizio la situazione e quello mi conferma che l'unica e' il ritorno in Italia. Ma ha solo 400.000. Per fortuna ha il visto, così può andare al consolato e farsi rimpatriare. Traduco. E' disperato. Telefono al consolato. C'è un problema: siccome ha le 400 mila, non è nullatenente, può starsene in albergo fintanto che non gli mandano i soldi per un biglietto da casa. Cerco di spiegare che non parla una parola di inglese, che è sicuramente la prima volta che viaggia all'estero, che fuori dell' aeroporto è perso, che dubito che trovi mai la strada del consolato, figuriamoci un albergo, che la famiglia ha gia' speso più di un milione e mezzo per farlo arrivare lì e che dubito che abbiano disponibilità. Lui e' disperato, vuole chiamare casa. Non fa che dire: e ora cosa faccio? Il nostro aereo sta per partire, gli raccomando, se non possono mandargli soldi da casa, di andare diritto al consolato, in taxi, e di piantarsi lì fino a che non lo rimettono su un aereo. Quando chiamerà casa, veda se il tizio che è accavallato con la sua mamma può telefonare al napoletano. No, è via e tornerà solo tra una dicina di giorni.
Addio Pasquale, stammi bene.
E statemi bene pure voi. Spero abbiate superato la crisi digestiva natalizia senza troppi problemi. Mi raccomando, tenetevi di conto, non avesse a venirvi il crampo dello scrivano.
Jac
domenica, gennaio 02, 2005
Where have all the flowers gone?
Caro Francesco. Vedo che non ti sbilanci, tra cosce filosofiche e matematiche. Non so darti torto: perche’ scegliere? Tanto nessuna delle due ebbe la buona idea di darcela - e dio solo sa se avremmo apprezzato il gesto.
La canzone “Where have all the flowers gone” fu scritta da Pete Seeger ed era nota a Enzo e a me perche’ un architetto romano che all’epoca frequentava mio padre mi aveva regalato un LP del suddetto, ma soprattutto perche’ avevo il disco di Peter Paul and Mary che la aveva resa famosa. Ecco le parole.
Where have all the flowers gone?
Long time passing.
Where have all the flowers gone?
Long time ago.
Where have all the flowers gone?
The girls have picked them ev'ry one.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the young girls gone?
Long time passing.
Where have all the young girls gone?
Long time ago.
Where have all the young girls gone?
They've taken husbands, every one.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the young men gone?
Long time passing.
Where have all the young men gone?
Long time ago.
Where have all the young men gone?
They're all in uniform.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the soldiers gone?
Long time passing.
Where have all the soldiers gone?
Long time ago.
Where have all the soldiers gone?
They've gone to graveyards, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Where have all the graveyards gone?
Long time passing.
Where have all the graveyards gone?
Long time ago.
Where have all the graveyards gone?
They're covered with flowers, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Where have all the flowers gone?
Long time passing.
Where have all the flowers gone?
Long time ago.
Where have all the flowers gone?
Young girls picked them, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Con questo saluto tutti. Domattina mi alzo prestissimo per andare a pescare in barca con amici. Da queste acque escono – a volte – pesci che lasciano a bocca aperta. L’unica altra volta che sono stato a pescare da una barca, mi fu messa in mano una canna e mi fu spiegato che dovevo tenere un dito non so dove. Feci presente che non mi rompessero I coglioni, visto che della pesca sapevo tutto (mai stato). Al primo tentativo, il mulinello si tramuto’ in una palla pelosa di filo (il dito!).
Mentre cercavo di dar prova di buona volonta’, facendo vedere agli astanti che mi davo da fare, con perizia, per venire a capo del guazzabuglio, con l’esca – credevo – fuor d’acqua, ecco che la canna tira di qua’ e di la’. Bene, era un thrasher shark, uno squalo con una coda lunga come il corpo. Il poveretto fu tirato fuori, slamato e ributtato in mare. Io ebbi I complimenti – assai meritati - degli astanti. Tante le volte domani qualche altra creatura degli abissi dovesse decidere di suicidarsi al mio amo, mandero’ foto.
Caterina, la mia fiola, manda a tutti I suoi saluti.
A presto dunque
Ahab
La canzone “Where have all the flowers gone” fu scritta da Pete Seeger ed era nota a Enzo e a me perche’ un architetto romano che all’epoca frequentava mio padre mi aveva regalato un LP del suddetto, ma soprattutto perche’ avevo il disco di Peter Paul and Mary che la aveva resa famosa. Ecco le parole.
Where have all the flowers gone?
Long time passing.
Where have all the flowers gone?
Long time ago.
Where have all the flowers gone?
The girls have picked them ev'ry one.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the young girls gone?
Long time passing.
Where have all the young girls gone?
Long time ago.
Where have all the young girls gone?
They've taken husbands, every one.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the young men gone?
Long time passing.
Where have all the young men gone?
Long time ago.
Where have all the young men gone?
They're all in uniform.
Oh, when will you ever learn?
Oh, when will you ever learn?
Where have all the soldiers gone?
Long time passing.
Where have all the soldiers gone?
Long time ago.
Where have all the soldiers gone?
They've gone to graveyards, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Where have all the graveyards gone?
Long time passing.
Where have all the graveyards gone?
Long time ago.
Where have all the graveyards gone?
They're covered with flowers, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Where have all the flowers gone?
Long time passing.
Where have all the flowers gone?
Long time ago.
Where have all the flowers gone?
Young girls picked them, every one.
Oh, when will they ever learn?
Oh, when will they ever learn?
Con questo saluto tutti. Domattina mi alzo prestissimo per andare a pescare in barca con amici. Da queste acque escono – a volte – pesci che lasciano a bocca aperta. L’unica altra volta che sono stato a pescare da una barca, mi fu messa in mano una canna e mi fu spiegato che dovevo tenere un dito non so dove. Feci presente che non mi rompessero I coglioni, visto che della pesca sapevo tutto (mai stato). Al primo tentativo, il mulinello si tramuto’ in una palla pelosa di filo (il dito!).
Mentre cercavo di dar prova di buona volonta’, facendo vedere agli astanti che mi davo da fare, con perizia, per venire a capo del guazzabuglio, con l’esca – credevo – fuor d’acqua, ecco che la canna tira di qua’ e di la’. Bene, era un thrasher shark, uno squalo con una coda lunga come il corpo. Il poveretto fu tirato fuori, slamato e ributtato in mare. Io ebbi I complimenti – assai meritati - degli astanti. Tante le volte domani qualche altra creatura degli abissi dovesse decidere di suicidarsi al mio amo, mandero’ foto.
Caterina, la mia fiola, manda a tutti I suoi saluti.
A presto dunque
Ahab