domenica, gennaio 09, 2005
Dalle cosce alle coscienze
Cari ragazzucci, se dovessi contare su di voi per l'intrattenimento, sarei nei casini. Visto quindi che non rubo spazio a nessuno, inondero' il blog delle mie profonde considerazioni.
Stavo appunto ripulendo la memoria del computer, quando ecco che mi ritrovo davanti il resoconto di una vicenda neorealistica che mi lascio' a bocca aperta a Sydney, a cavallo del millennio.
Sottopongo la brillante composizione alle vostre socialmente conscie conscienze.
Nota: con questo, dagli ultimi carteggi, siamo piombati dalle cosce alle coscienze. Non butta bene.
Auckland, 18 DEC 99
Aeroporto di Sydney, metà di novembre. In arrivo da Fiumicino/Bangkok, siamo ora in coda al banco del transito quando arriva un ragazzo trafelato in tuta da ginnastica che a gesti mi domanda se siamo in coda. Si. Batte col dito sull'orologio. Glielo faccio vedere. Si passa una mano sulla fronte per farmi capire che è andata bene, non è troppo tardi. L'orologio ce l'ha anche lui, ma evidentemente si è confuso col fuso. Da un paio di parole che ha buttato fuori nel gesticolare ho capito: è italiano. Italiano? Si. Anch' io, Firenze. Castelli Romani. Nell'attesa comincia la conversazione: sta andando a fare il cameriere in NZ, è il suo lavoro, deve prendere un volo per Wellington, dove lo aspetta il suo futuro datore di lavoro. Bene, bravo. Tocca a noi, sistemiamo le cose per l'ultima tratta di volo, Sydney-Auckland.
Stiamo per prendere le borse e salutare, quando mi chiede di aiutarlo: il tizio fa problemi e lui non parla una parola di inglese. L'impiegato al banco mi dice che non lo puo' fare andare in NZ: ha un biglietto di sola andata e da Wellington lo farebbero rimbalzare al porto di imbarco, Sydney, senza nemmeno fargli toccare terra. Una volta a Sydney, senza visto non puotrà uscire dall'aeroporto. Spiego. Mi risponde che ha il visto per L'Australia; mostra il passaporto; ce l'ha davvero.
L'impiegato, saputa la situazione mi spiega che lo può fare partire solo se lui compra un biglietto di uscita dalla NZ. Il meno caro è Fiji. Per seicento mila lire ne può avere uno che costa un po' più caro, ma che e' rimborsabile. Il ragazzo mi fa presente che lui ha solo 400.000 lire. Ahi. Ma non c'è problema, mi assicura, il datore di lavoro lo andrà a prendere all'aeroporto e pagherà un deposito di 10-20 milioni per garantire per lui. Procedura improbabile. So a memoria le condizioni dell' immigrazione kiwi, ci sto passando anche io.
L'impiegato è un santo, lo vuole aiutare. Dice di telefonare al datore di lavoro e fargli versare il costo del biglietto: lo avrà rimborsato appena il ragazzo sara' regolarizzato. Il ragazzo mi chiede se posso fare la telefonata con lui, dice che io posso spiegare meglio come stanno le cose. Va bene. Per telefonare dobbiamo aspettare perché in NZ è troppo presto e il ristorante non è ancora aperto. Un caffé e ci infiliamo nella scatola per fumatori. Si chiacchiera: ha da poco finito il militare. Vuole sapere che ore sono in Italia perché vuole chiamare casa: la mamma. Di babbi non parla, né ora, né poi. Gli ha trovato il lavoro in NZ un amico che ha già piazzato un altro ragazzo che, mi dice, già guadagna 9-10 milioni al mese. Mah! Io sto andando a guadagnarne due. Mi fa vedere una foto: Italia, è una pizzeria; in piedi il padrone e la moglie, seduti i due camerieri, uno avra' una ventina d'anni, l'altro è lui e ne ha dodici. Camerieri e padrone indossano gilè uguali, ramagiati. Sopra di loro il solito arco dipinto di rosso con foto e cartoline attaccate. ”Cazzo, hai cominciato presto". "Eh, è che io questo lavoro proprio lo amo". Il mondo è bello perché è vario.
Arriva l'ora di telefonare. Fa un numero di telefono di Auckland. Ma non devevi andare a Wellington? C'è una giornata di viaggio, o un altro volo, strano, no? E' un po' stupito, ma non dubita: il suo datore di lavoro, emigrato poverello da Napoli anni orsono è oggi padrone di 4 ristoranti: forse lo fa lavorare in un posto diverso. Ricordo la storia dei 10-20 milioni all'aeroporto, ma lasciamo perdere.
Gli risponde il ragazzo da 10 al mese. "Passami Antonio, che sono bloccato in Australia e gli devo spiegare che mi deve comprare un biglietto. Quando torna? Richiamerò".
Richiama di lì a mezz'ora. Il solito ragazzo dice che Antonio e' in vacanza all'estero per una settimana. Lui non tentenna: mi bisbiglia che questo dall'altro capo del filo, secondo lui non gli vuole passare Antonio perché è geloso, non vuole concorrenti. Richiamerò di nuovo.
Ma chi chiamerai di nuovo, se il tizio è in vacanza? No, è lo stronzo che non glielo vuole passare. Spiegami come hai trovato questo lavoro. Allora, c'è un tizio che non è un parente, ma che con la sua famiglia è così (dita accavallate). Traduco nella mia testa: probabilmente è quello che si tromba la mamma. Bene, costui è così anche col napoletano dei ristoranti. Mi fa capire che ci sono stati favori di quelli che indebitano per tutta la vita. Ma sei sicuro che non sia lui che si nega? No, impossibile, mi sta aspettando.
Altra mezz'ora. Si richiama. Stavolta vuole che ci parli anche io. Dice al cameriere: ehi, non è che sei te che non me lo vuoi passare? Non fare lo stronzo, sono in Australia e devo arrivare costì. Poi mi guarda: prova a parlarci te. Chiedo al cameriere da 10: ma il padrone, dov'è? In vacanza. Ma dai! Lui mi dice: guarda, il padrone comunque il biglietto per questo qui non ci pesa nemmeno a pagarlo. Si, ma questo che ci fa qui in Australia? E che ne so. Si riattacca.
Gli spiego che e' il padrone che si nega. Ora e' preoccupato: e io qui cosa faccio? E' ancora presto per chiamare casa. Torniamo al banco: spiego a un altro tizio la situazione e quello mi conferma che l'unica e' il ritorno in Italia. Ma ha solo 400.000. Per fortuna ha il visto, così può andare al consolato e farsi rimpatriare. Traduco. E' disperato. Telefono al consolato. C'è un problema: siccome ha le 400 mila, non è nullatenente, può starsene in albergo fintanto che non gli mandano i soldi per un biglietto da casa. Cerco di spiegare che non parla una parola di inglese, che è sicuramente la prima volta che viaggia all'estero, che fuori dell' aeroporto è perso, che dubito che trovi mai la strada del consolato, figuriamoci un albergo, che la famiglia ha gia' speso più di un milione e mezzo per farlo arrivare lì e che dubito che abbiano disponibilità. Lui e' disperato, vuole chiamare casa. Non fa che dire: e ora cosa faccio? Il nostro aereo sta per partire, gli raccomando, se non possono mandargli soldi da casa, di andare diritto al consolato, in taxi, e di piantarsi lì fino a che non lo rimettono su un aereo. Quando chiamerà casa, veda se il tizio che è accavallato con la sua mamma può telefonare al napoletano. No, è via e tornerà solo tra una dicina di giorni.
Addio Pasquale, stammi bene.
E statemi bene pure voi. Spero abbiate superato la crisi digestiva natalizia senza troppi problemi. Mi raccomando, tenetevi di conto, non avesse a venirvi il crampo dello scrivano.
Jac
Stavo appunto ripulendo la memoria del computer, quando ecco che mi ritrovo davanti il resoconto di una vicenda neorealistica che mi lascio' a bocca aperta a Sydney, a cavallo del millennio.
Sottopongo la brillante composizione alle vostre socialmente conscie conscienze.
Nota: con questo, dagli ultimi carteggi, siamo piombati dalle cosce alle coscienze. Non butta bene.
Auckland, 18 DEC 99
Aeroporto di Sydney, metà di novembre. In arrivo da Fiumicino/Bangkok, siamo ora in coda al banco del transito quando arriva un ragazzo trafelato in tuta da ginnastica che a gesti mi domanda se siamo in coda. Si. Batte col dito sull'orologio. Glielo faccio vedere. Si passa una mano sulla fronte per farmi capire che è andata bene, non è troppo tardi. L'orologio ce l'ha anche lui, ma evidentemente si è confuso col fuso. Da un paio di parole che ha buttato fuori nel gesticolare ho capito: è italiano. Italiano? Si. Anch' io, Firenze. Castelli Romani. Nell'attesa comincia la conversazione: sta andando a fare il cameriere in NZ, è il suo lavoro, deve prendere un volo per Wellington, dove lo aspetta il suo futuro datore di lavoro. Bene, bravo. Tocca a noi, sistemiamo le cose per l'ultima tratta di volo, Sydney-Auckland.
Stiamo per prendere le borse e salutare, quando mi chiede di aiutarlo: il tizio fa problemi e lui non parla una parola di inglese. L'impiegato al banco mi dice che non lo puo' fare andare in NZ: ha un biglietto di sola andata e da Wellington lo farebbero rimbalzare al porto di imbarco, Sydney, senza nemmeno fargli toccare terra. Una volta a Sydney, senza visto non puotrà uscire dall'aeroporto. Spiego. Mi risponde che ha il visto per L'Australia; mostra il passaporto; ce l'ha davvero.
L'impiegato, saputa la situazione mi spiega che lo può fare partire solo se lui compra un biglietto di uscita dalla NZ. Il meno caro è Fiji. Per seicento mila lire ne può avere uno che costa un po' più caro, ma che e' rimborsabile. Il ragazzo mi fa presente che lui ha solo 400.000 lire. Ahi. Ma non c'è problema, mi assicura, il datore di lavoro lo andrà a prendere all'aeroporto e pagherà un deposito di 10-20 milioni per garantire per lui. Procedura improbabile. So a memoria le condizioni dell' immigrazione kiwi, ci sto passando anche io.
L'impiegato è un santo, lo vuole aiutare. Dice di telefonare al datore di lavoro e fargli versare il costo del biglietto: lo avrà rimborsato appena il ragazzo sara' regolarizzato. Il ragazzo mi chiede se posso fare la telefonata con lui, dice che io posso spiegare meglio come stanno le cose. Va bene. Per telefonare dobbiamo aspettare perché in NZ è troppo presto e il ristorante non è ancora aperto. Un caffé e ci infiliamo nella scatola per fumatori. Si chiacchiera: ha da poco finito il militare. Vuole sapere che ore sono in Italia perché vuole chiamare casa: la mamma. Di babbi non parla, né ora, né poi. Gli ha trovato il lavoro in NZ un amico che ha già piazzato un altro ragazzo che, mi dice, già guadagna 9-10 milioni al mese. Mah! Io sto andando a guadagnarne due. Mi fa vedere una foto: Italia, è una pizzeria; in piedi il padrone e la moglie, seduti i due camerieri, uno avra' una ventina d'anni, l'altro è lui e ne ha dodici. Camerieri e padrone indossano gilè uguali, ramagiati. Sopra di loro il solito arco dipinto di rosso con foto e cartoline attaccate. ”Cazzo, hai cominciato presto". "Eh, è che io questo lavoro proprio lo amo". Il mondo è bello perché è vario.
Arriva l'ora di telefonare. Fa un numero di telefono di Auckland. Ma non devevi andare a Wellington? C'è una giornata di viaggio, o un altro volo, strano, no? E' un po' stupito, ma non dubita: il suo datore di lavoro, emigrato poverello da Napoli anni orsono è oggi padrone di 4 ristoranti: forse lo fa lavorare in un posto diverso. Ricordo la storia dei 10-20 milioni all'aeroporto, ma lasciamo perdere.
Gli risponde il ragazzo da 10 al mese. "Passami Antonio, che sono bloccato in Australia e gli devo spiegare che mi deve comprare un biglietto. Quando torna? Richiamerò".
Richiama di lì a mezz'ora. Il solito ragazzo dice che Antonio e' in vacanza all'estero per una settimana. Lui non tentenna: mi bisbiglia che questo dall'altro capo del filo, secondo lui non gli vuole passare Antonio perché è geloso, non vuole concorrenti. Richiamerò di nuovo.
Ma chi chiamerai di nuovo, se il tizio è in vacanza? No, è lo stronzo che non glielo vuole passare. Spiegami come hai trovato questo lavoro. Allora, c'è un tizio che non è un parente, ma che con la sua famiglia è così (dita accavallate). Traduco nella mia testa: probabilmente è quello che si tromba la mamma. Bene, costui è così anche col napoletano dei ristoranti. Mi fa capire che ci sono stati favori di quelli che indebitano per tutta la vita. Ma sei sicuro che non sia lui che si nega? No, impossibile, mi sta aspettando.
Altra mezz'ora. Si richiama. Stavolta vuole che ci parli anche io. Dice al cameriere: ehi, non è che sei te che non me lo vuoi passare? Non fare lo stronzo, sono in Australia e devo arrivare costì. Poi mi guarda: prova a parlarci te. Chiedo al cameriere da 10: ma il padrone, dov'è? In vacanza. Ma dai! Lui mi dice: guarda, il padrone comunque il biglietto per questo qui non ci pesa nemmeno a pagarlo. Si, ma questo che ci fa qui in Australia? E che ne so. Si riattacca.
Gli spiego che e' il padrone che si nega. Ora e' preoccupato: e io qui cosa faccio? E' ancora presto per chiamare casa. Torniamo al banco: spiego a un altro tizio la situazione e quello mi conferma che l'unica e' il ritorno in Italia. Ma ha solo 400.000. Per fortuna ha il visto, così può andare al consolato e farsi rimpatriare. Traduco. E' disperato. Telefono al consolato. C'è un problema: siccome ha le 400 mila, non è nullatenente, può starsene in albergo fintanto che non gli mandano i soldi per un biglietto da casa. Cerco di spiegare che non parla una parola di inglese, che è sicuramente la prima volta che viaggia all'estero, che fuori dell' aeroporto è perso, che dubito che trovi mai la strada del consolato, figuriamoci un albergo, che la famiglia ha gia' speso più di un milione e mezzo per farlo arrivare lì e che dubito che abbiano disponibilità. Lui e' disperato, vuole chiamare casa. Non fa che dire: e ora cosa faccio? Il nostro aereo sta per partire, gli raccomando, se non possono mandargli soldi da casa, di andare diritto al consolato, in taxi, e di piantarsi lì fino a che non lo rimettono su un aereo. Quando chiamerà casa, veda se il tizio che è accavallato con la sua mamma può telefonare al napoletano. No, è via e tornerà solo tra una dicina di giorni.
Addio Pasquale, stammi bene.
E statemi bene pure voi. Spero abbiate superato la crisi digestiva natalizia senza troppi problemi. Mi raccomando, tenetevi di conto, non avesse a venirvi il crampo dello scrivano.
Jac
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