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domenica, dicembre 11, 2005

Credo che non si possa far finta che sono passati 37 anni. Ognuno di noi, nel frattempo, è divenuto quello che allora era solo allo stato embrionale. Non viviamo, più Claudio, in uno stato magmatico da cui può ancora venir fuori tutto: ci siamo definiti ... e siamo così. Non solo, Claudio: neppure il '68 ha alcunché da dire a nessuno, oggi. E' metabolizzato originalmente in ciascuno di noi; e così l'Albanese e la Menicucci (e la Dupré, e Chiti; e Corrente ?- ve lo ricordate Corrente? A me ha messo per iscritto le parole di "The house of the rising sun", il signore lo abbia in gloria).
Però, tutti ci sentiamo legati al nostro comune "come eravamo". E il bello è che non sappiamo più dire cos'era: ma c'è stato. Era una comunità di destino: tutti volevamo essere nella C, ma nessuno sapeva chi ci avrebbe trovato, come compagni. Eravamo quelli che volevano stare nella C; e dopo esserci ben bene annusati, decidemmo che avrebbe potuto anche andar peggio e che, in numerosi casi, eravamo stati fortunati a incontrare proprio quei compagni di classe, e non altri.
Poi arriva questo esumatore di età passate, il Rugi Roberto, personaggio da libro "Cuore", veramente, e (provvidenzialmente) ci rimette tutti insieme, il signore lo remuneri. E ci fa capire che, come è stato per lui, quel collettivo esisteva. Ma non perché avevamo in comune la politica, le scommesse sui cavalli (Cancellieri, ti decidi a battere nobilmente un colpo?), o l'antipatia per un'ampia sezione dell'antropologia dell'Italia di allora. Scattò, allora, qualcosa che può avvenire solo a quell'età: ci accettammo, come eravamo: non nelle cose comuni (questo avvenne per coppie e piccoli sottogruppi), ma per la nostra curiosità reciproca delle nostre diversità.
Ci siamo scelti solo quarant'anni più tardi, in realtà, non allora: solo quando siamo stati grati a Roberto per averci rimess insieme. Perché, quarant'anni dopo, abbiamo scoperto che ci siamo piaciuti, anche se eravamo, e siamo, differenti. Quella diversità ci ha fatto capire di più di noi stessi e degli altri.
Il bello è che, quando ci ritroviamo, torniamo tutti sul luogo del delitto: i dieci-venti piccoli indiani che insieme, a suo tempo, hanno mollato qualche coltellata tutti insieme a qualcuno (scusate, clamoroso ... povero, vecchio benvenuti ... volevo dire: l'assassinio sull'Orient Express!).
E poi la fatica, il lavoro. Io non so voi, ma io al liceo ho fatto una fatica bestia per stare a galla con interrogazioni, compiti e voti, e fottuti chiaro-scuro del Grassi e della sua deforme assistente (Panerai, Roberto?). Sudore e lagrime uniscono, aldisopra di ogni altra differenza, probabilmente: ma perché? perché non il gioco di attacco, che tutti insieme non abbiamo mai fatto?
Io credo che, dopo tanto tempo, non ci si possa dire l'un l'altro: bene, ora siamo qui, ferrea falange, dispersa e ritrovatasi dopo tante battaglie: ora sì, ancora qualche torneo finale, questa volta consapevole e autocosciente! Davai!.
... no. Il mistero è ancora lì, e continua incuriosirci e non smetterà di farlo. Perché queste persone sono importanti per me? Cosa ci ha fatto incontrare? Perché le voglio rivedere?
Come è che il caso diventa destino? E' complicato, Claudio, delicato, misterioso, appunto .... .

francesco

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