mercoledì, febbraio 09, 2005
Da Roberto
Ho ricevuto da Jacopo la foto con le belle accaldate. Le ho già inserite nella “scala delle ammaliatrici”.
Ho finito di leggere “Un altro giro di giostra” di Tiziano Terzani, viaggio fra le medicine alternative di un malato di cancro alla ricerca di se stesso, del Sé universale e della pace interiore, che sembra trovare.
L’unico dubbio deriva dal fatto che le sue conclusioni sullo “Spirito universale” hanno parecchie somiglianze con quelle che avevo sentito trentacinque anni fa da un ragazzo “un po’ matto”, che però non aveva viaggiato per tanti anni in Asia e non faceva il giornalista internazionale, per cui non scriveva libri e aveva “meno pubblico”.
Ho visto un certo parallelismo con un libro suggerito sul blog da Gherardo: “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsig. Il protagonista fa un viaggio in motocicletta con il figlio e ricorda un po’alla volta il suo passato che aveva rimosso: da insegnante universitario, alla ricerca affannosa della “qualità” e di un valore spirituale universale, aveva finito per iscriversi di nuovo all’università come studente, a filosofia. Ma questa ricerca, sempre più importante per lui, aveva finito per fargli trascurare ogni convenzione sociale e lo aveva fatto diventare pazzo (o lo aveva solo fatto sembrare pazzo a tutto quelli, la maggioranza, che non accettano il rifiuto delle convenzioni?).
La sua ricerca della qualità ora si applica a qualunque cosa, compresa la manutenzione della motocicletta. Nel corso del viaggio tutto riaffiora un po’ per volta alla memoria, il figlio lo accetta com’era (e com’è di nuovo), nuovamente consapevole, ma che ha imparato a rispettare le convenzioni sociali per non essere chiuso in manicomio.
Le sue conclusioni lo portano verso lo Zen, con parecchie analogie con il “Sé universale” di Terzani e con “lo Spirito” del matto che avevo conosciuto tanti anni fa.
Se Tiziano Terzani non fosse già stato un giornalista famoso (per me era quello della “liberazione di Saigon”) avremmo accettato facilmente il suo abbigliamento eccentrico, il suo amore per la solitudine, a volte al limite della misantropia, come lui stesso ammette? Per non parlare delle “allucinazioni” che lo colpiscono verso la fine del suo eremitaggio, come racconta verso la fine del suo ultimo libro.
Rimane abbastanza lucido da capire che si tratta di allucinazioni e nota con ironia che le voci che sente, dopo un lungo periodo di vita solitaria da eremita, sono probabilmente analoghe alla voce di Dio che possono sentire i “Santi” in condizioni analoghe, o alla voce del demonio che possono sentire gli indemoniati. O i matti.
Che cos’è la pazzia? Domanda difficile e dalle molte risposte, ma, per restare in superficie, chiamiamo matti quelli che non rispettano convenzioni sociali importanti (o ritenute tali). Per esempio: non si parla da soli a voce alta. E così via per altre ancora più importanti.
Chi non rispetta convenzioni sociali di importanza minore, è semplicemente maleducato. Come in molti altri casi, è la quantità che fa la qualità.
In letteratura ci sono due tipi di follia e, come spesso accade, hanno già radice nei miti greci.
Ulisse, che non vuol partire per la guerra di Troia, comincia ad arare sulla spiaggia, seminando sale.
Cassandra è ritenuta pazza da tutti, perché riesce a vedere ciò che gli altri non vedono.
Nel primo “filone” l’Enrico IV e il Berretto a sonagli di Pirandello, e molti altri, ma anche l’interpretazione di Freud: il matto è uno che non riesce ad accettare la realtà (per lui insopportabile) e quindi nella mente si costruisce una sua realtà fantastica, più bella, o almeno più accettabile.
Nel secondo gruppo “L’idiota” di Dostojevski, alcuni artisti descritti dal dottor Oliver Sacks (quello di “Risvegli”) e molti altri che potete divertirvi a cercare.
Ho finito di leggere “Un altro giro di giostra” di Tiziano Terzani, viaggio fra le medicine alternative di un malato di cancro alla ricerca di se stesso, del Sé universale e della pace interiore, che sembra trovare.
L’unico dubbio deriva dal fatto che le sue conclusioni sullo “Spirito universale” hanno parecchie somiglianze con quelle che avevo sentito trentacinque anni fa da un ragazzo “un po’ matto”, che però non aveva viaggiato per tanti anni in Asia e non faceva il giornalista internazionale, per cui non scriveva libri e aveva “meno pubblico”.
Ho visto un certo parallelismo con un libro suggerito sul blog da Gherardo: “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsig. Il protagonista fa un viaggio in motocicletta con il figlio e ricorda un po’alla volta il suo passato che aveva rimosso: da insegnante universitario, alla ricerca affannosa della “qualità” e di un valore spirituale universale, aveva finito per iscriversi di nuovo all’università come studente, a filosofia. Ma questa ricerca, sempre più importante per lui, aveva finito per fargli trascurare ogni convenzione sociale e lo aveva fatto diventare pazzo (o lo aveva solo fatto sembrare pazzo a tutto quelli, la maggioranza, che non accettano il rifiuto delle convenzioni?).
La sua ricerca della qualità ora si applica a qualunque cosa, compresa la manutenzione della motocicletta. Nel corso del viaggio tutto riaffiora un po’ per volta alla memoria, il figlio lo accetta com’era (e com’è di nuovo), nuovamente consapevole, ma che ha imparato a rispettare le convenzioni sociali per non essere chiuso in manicomio.
Le sue conclusioni lo portano verso lo Zen, con parecchie analogie con il “Sé universale” di Terzani e con “lo Spirito” del matto che avevo conosciuto tanti anni fa.
Se Tiziano Terzani non fosse già stato un giornalista famoso (per me era quello della “liberazione di Saigon”) avremmo accettato facilmente il suo abbigliamento eccentrico, il suo amore per la solitudine, a volte al limite della misantropia, come lui stesso ammette? Per non parlare delle “allucinazioni” che lo colpiscono verso la fine del suo eremitaggio, come racconta verso la fine del suo ultimo libro.
Rimane abbastanza lucido da capire che si tratta di allucinazioni e nota con ironia che le voci che sente, dopo un lungo periodo di vita solitaria da eremita, sono probabilmente analoghe alla voce di Dio che possono sentire i “Santi” in condizioni analoghe, o alla voce del demonio che possono sentire gli indemoniati. O i matti.
Che cos’è la pazzia? Domanda difficile e dalle molte risposte, ma, per restare in superficie, chiamiamo matti quelli che non rispettano convenzioni sociali importanti (o ritenute tali). Per esempio: non si parla da soli a voce alta. E così via per altre ancora più importanti.
Chi non rispetta convenzioni sociali di importanza minore, è semplicemente maleducato. Come in molti altri casi, è la quantità che fa la qualità.
In letteratura ci sono due tipi di follia e, come spesso accade, hanno già radice nei miti greci.
Ulisse, che non vuol partire per la guerra di Troia, comincia ad arare sulla spiaggia, seminando sale.
Cassandra è ritenuta pazza da tutti, perché riesce a vedere ciò che gli altri non vedono.
Nel primo “filone” l’Enrico IV e il Berretto a sonagli di Pirandello, e molti altri, ma anche l’interpretazione di Freud: il matto è uno che non riesce ad accettare la realtà (per lui insopportabile) e quindi nella mente si costruisce una sua realtà fantastica, più bella, o almeno più accettabile.
Nel secondo gruppo “L’idiota” di Dostojevski, alcuni artisti descritti dal dottor Oliver Sacks (quello di “Risvegli”) e molti altri che potete divertirvi a cercare.
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