martedì, dicembre 14, 2004
La torre e il cerchio (parte seconda)
Nessuna forma è perfetta, o più perfetta delle altre [a differenza di quel che dice Aristotele], anche se direi che dovendo rotolare o far scorrere qualcosa, è meglio ispirarsi ai cerchi che ai triangoli, mentre se voglio fare una carriola, è meglio che, per la parte che conterrà il materiale da trasportare, mi ispiri a un triangolo che non a un cerchio.
Galileo Galilei
Qualche tempo dopo, quando le discussioni sulla Torre di San Niccolò si erano ormai spente e ognuno si teneva la sua opinione, più o meno assurda, il collega tornò un lunedì mattina dicendo che nel fine settimana aveva risolto l’enigma.
Era uscito con la macchina fotografica, come faceva spesso il sabato mattina, e dopo aver fatto un po’ di foto alla Torre aveva attaccato discorso con il posteggiatore della piazzetta lì sotto. Dopo un po’ aveva giudicato che il livello di confidenza fosse sufficiente per esporgli il problema. E il parcheggiatore aveva la soluzione.
-Lei crede di essere il primo che crede di aver sognato? Sa che un pittore è venuto qui qualche tempo fa con l’aria disperata, perché la Torre non era più come l’aveva dipinta lui? Lo avevo visto girare qui intorno per diversi giorni, col naso all’insù, prima che io mi impietosissi e gli chiedessi se cercava qualcosa. E quello : “no, no” , aveva paura di passare per matto!
-E invece?
-E invece è bastato spiegargli che io ho assistito a tutta la trasformazione. Sono venuti qui gli scenografi del Teatro Comunale, una squadra. Hanno usato legno, cartapesta e vernici per cambiare la forma dell’arco più alto, dando l’illusione della pietra che formava un cerchio nero perfetto.
-Ma perché?
-Perché la sera, quando si accendevano le luci della città, in quel cerchio veniva proiettato il pallone da calcio con il simbolo dei mondiali.
In Italia ci sono stati i mondiali di calcio. Lei non li segue?
-No, io faccio il grafico e quando ho tempo faccio il fotografo o il pittore- rispose il collega, che nel frattempo aveva una gran voglia di ridere.
Il Guerrazzi ne “L’assedio di Firenze”, romanzo storico ispirato all’assedio del 1530 (quello di Francesco Ferrucci e del Calcio in costume), per il quale aveva consultato resoconti d’epoca, racconta che dalla Porta di San Niccolò uscì la prima “incamiciata”, cioè una sortita notturna dei fiorentini assediati, che passando dalle “Cinque vie” raggiunsero il “Poggio imperiale” e le truppe assedianti, prendendole di sorpresa “alle spalle”. Le camicie bianche servivano per riconoscersi nel buio, da qui il nome.
La Torre compare anche in “Un altro giro di giostra”, l’ultimo libro di Tiziano Terzani. T. è a New York, dove va a trovare l’amico Nica, fiorentino di nascita, che non potrà più tornare a Firenze.
…Ma Nica voleva parlare di Firenze e così, chissà perché, mi venne da descrivergli una camminata che avremmo potuto fare. Si partì dal Ponte Vecchio, si prese su per l’Erta Canina, poi per via San Leonardo, ci si fermò davanti alla casa dove era vissuto e aveva dipinto Ottone Rosai, e si finì sul viale dei Colli. Io parlavo, dicevo dove si voltava, quel che avevamo davanti, e lui teneva gli occhi socchiusi e sorrideva. Quel gioco, cominciato per caso, divenne il nostro rito.
“Oggi dove si va?” chiedeva appena entravo in casa. E presto si era a passeggiare per Firenze. Una volta si andò così da piazza Torquato Tasso alla Torre di Bellosguardo, dove ci fermammo a goderci una delle più belle viste del mondo. Una volta dal Torrione di Ponte alle Grazie facemmo in salita Le Rampe fino al piazzale Michelangelo. Ma lì trovammo tutti gli autobus carichi di turisti e andammo a sedere alle “Colonne” per bere qualcosa.
Buone passeggiate da Roberto
Galileo Galilei
Qualche tempo dopo, quando le discussioni sulla Torre di San Niccolò si erano ormai spente e ognuno si teneva la sua opinione, più o meno assurda, il collega tornò un lunedì mattina dicendo che nel fine settimana aveva risolto l’enigma.
Era uscito con la macchina fotografica, come faceva spesso il sabato mattina, e dopo aver fatto un po’ di foto alla Torre aveva attaccato discorso con il posteggiatore della piazzetta lì sotto. Dopo un po’ aveva giudicato che il livello di confidenza fosse sufficiente per esporgli il problema. E il parcheggiatore aveva la soluzione.
-Lei crede di essere il primo che crede di aver sognato? Sa che un pittore è venuto qui qualche tempo fa con l’aria disperata, perché la Torre non era più come l’aveva dipinta lui? Lo avevo visto girare qui intorno per diversi giorni, col naso all’insù, prima che io mi impietosissi e gli chiedessi se cercava qualcosa. E quello : “no, no” , aveva paura di passare per matto!
-E invece?
-E invece è bastato spiegargli che io ho assistito a tutta la trasformazione. Sono venuti qui gli scenografi del Teatro Comunale, una squadra. Hanno usato legno, cartapesta e vernici per cambiare la forma dell’arco più alto, dando l’illusione della pietra che formava un cerchio nero perfetto.
-Ma perché?
-Perché la sera, quando si accendevano le luci della città, in quel cerchio veniva proiettato il pallone da calcio con il simbolo dei mondiali.
In Italia ci sono stati i mondiali di calcio. Lei non li segue?
-No, io faccio il grafico e quando ho tempo faccio il fotografo o il pittore- rispose il collega, che nel frattempo aveva una gran voglia di ridere.
Il Guerrazzi ne “L’assedio di Firenze”, romanzo storico ispirato all’assedio del 1530 (quello di Francesco Ferrucci e del Calcio in costume), per il quale aveva consultato resoconti d’epoca, racconta che dalla Porta di San Niccolò uscì la prima “incamiciata”, cioè una sortita notturna dei fiorentini assediati, che passando dalle “Cinque vie” raggiunsero il “Poggio imperiale” e le truppe assedianti, prendendole di sorpresa “alle spalle”. Le camicie bianche servivano per riconoscersi nel buio, da qui il nome.
La Torre compare anche in “Un altro giro di giostra”, l’ultimo libro di Tiziano Terzani. T. è a New York, dove va a trovare l’amico Nica, fiorentino di nascita, che non potrà più tornare a Firenze.
…Ma Nica voleva parlare di Firenze e così, chissà perché, mi venne da descrivergli una camminata che avremmo potuto fare. Si partì dal Ponte Vecchio, si prese su per l’Erta Canina, poi per via San Leonardo, ci si fermò davanti alla casa dove era vissuto e aveva dipinto Ottone Rosai, e si finì sul viale dei Colli. Io parlavo, dicevo dove si voltava, quel che avevamo davanti, e lui teneva gli occhi socchiusi e sorrideva. Quel gioco, cominciato per caso, divenne il nostro rito.
“Oggi dove si va?” chiedeva appena entravo in casa. E presto si era a passeggiare per Firenze. Una volta si andò così da piazza Torquato Tasso alla Torre di Bellosguardo, dove ci fermammo a goderci una delle più belle viste del mondo. Una volta dal Torrione di Ponte alle Grazie facemmo in salita Le Rampe fino al piazzale Michelangelo. Ma lì trovammo tutti gli autobus carichi di turisti e andammo a sedere alle “Colonne” per bere qualcosa.
Buone passeggiate da Roberto
Comments:
Posta un commento