domenica, maggio 16, 2004
Un latitante
Avevo preannunciato un tentativo di essere presente - almeno di passaggio, in bici - in Mugello. In bici ci sono stato, ma i nuvoloni di quel sabato mi hanno sconsigliato di allontanarmi troppo da Firenze e comunque mi sono infradiciato lo stesso.
Leggendo i vostri commenti pare proprio che ogni incontro cementi il gruppo, riavvolga il nastro del passato e lo rimescoli ben bene per rispiegarlo oggi, quando tutto - noi per primi - siamo cambiati.
Già, il passato. Io sono uno che non ha mai guardato indietro. Proprio come quando vado giù per una discesa nel bosco, guardo avanti - però non troppo avanti - avanti quel giusto per evitare le buche e indovinare il raggio della prossima curva. Guai a voltarsi indietro quando si va in bici !
Questo atteggiamento mi è stato di grande utilità nella vita. Mi ha consentito di non fare brutti ruzzoloni. Ma ho sicuramente perso qualcosa: è come se sapessi che sono qui, ma non ricordassi più come ci sono arrivato.
Oggi Stefano C. in un suo messaggio mi chiede di ricordare un nostro compagno - Paolo Pacini - lui definitivamente assente dai nostri banchi.
E' molto gentile Stefano:
"Te la sentiresti di tracciare su Blog un ricordo di Paolo Pacini
se come crediamo sei stato quello che gli è stato più vicino negli anni post-liceo ?
Se credi puoi chiedere la collaborazione di altri.
Non è un obbligo, se la cosa ti pesasse puoi passare la mano"
Ecco come si colpisce e affonda uno che il passato lo ha lasciato evaporare per scaldarsi al sole del "qui ed ora".
Perchè in realtà quel passato ce l'ho e la proposta di Stefano (e Roberto) di farmelo tirar fuori di cantina è di grande aiuto per me.
Paolo dunque. Quella notte - era mezzanotte - stava disteso sul suo letto, ancora caldo. Quando arrivai era morto da mezz'ora. Stramazzato in terra mentre era seduto alla tavola di cucina a cena con dei colleghi. Morte improvvisa, in termini medici. Arresto cardiocircolatorio. Nessuna possibilità di soccorso.
Le figlie Giulia e Giovanna piangevano in modo straziante, la moglie, da cui si era separato da poco, era pallida e smarrita. La morte respirava quella notte affannosamente in ogni angolo di quella casetta in cui era andato a vivere da solo. Solo Paolo, vestito in modo elegante come al solito, sembrava non udirla, disteso com'era su quel grande letto, assorto. Era l'unica persona che non dovevo consolare, che non potevo abbracciare.
Quella sera è stata la prima volta che ho sentito la morte vicina.
Perchè io e lui, a lungo, avevamo condiviso tanta parte di vita.
Fin dalla terza liceo, l'anno in cui fui scaraventato dalla sezione L alla prestigiosa sezione C. Abitavamo io all'Isolotto e lui a Legnaia. Così facevamo la strada insieme per andare e tornare da scuola. Non immaginate - o forse sì - quanto sia più decisivo nel legare due persone fare la stessa strada, piuttosto che stare cinque ore nella stessa aula: si dicono stupidaggini, s'impara a sognare in grande. In quarta e in quinta andavamo spesso a piedi - attraversando l'Arno, le Cascine, il Mugnone. Era bello, era facile. Poi - quando Paolo prese la patente, andavamo con la sua 850 azzurra e lui guidava un pò allegro per i miei gusti. Le nostre vite presero a intricarsi sempre di più quando decidemmo di iscriverci a Medicina. Studiavamo insieme e davamo gli esami insieme. Sempre. Una coppia compensata: lui estroverso e ottimista accelerava, io timido e realista frenavo. Il risultato era che si davano gli esami sempre quando eravamo ben preparati. Eravamo una coppia. Tutti e due demmo una tesi in radiologia. Laurea ed esame di stato insieme. Anche i nostri matrimoni furono a brevissima distanza l'uno dall'altro. L'unica differenza fu che lui si sposò in chiesa tutto elegante e io in comune in modo dimesso. Tutti e due andammo ad abitare nella stessa via, in palazzi antistanti.
Andammo anche in vacanza insieme un paio di volte in Val d'Aosta e in Corsica. Ed entrambi diventammo padri due volte.
Era bello andare in giro con Paolo. Le sue battute erano allegre e pungenti. Amava la fotografia e credo che una buona parte di quel piacere che provo a girare con la macchina fotografica al collo me l'abbia trasmesso lui. Passavamo nottate intere a stampare 30x40 in b/n nella sua o nella mia cucina, tutti e due tenevamo per Nikon, e io un pò lo invidiavo perchè la sua fotocamera era superiore alla mia. La nostra amicizia ci plasmava vicendevolmente. Per studiare si camminava a gran passi per la casa, poi uno ascoltava e l'altro ripeteva. Una volta l'avevo convinto a comprarsi un flautino di legno e nelle soste ci si soffiava qualche nota, sopportando le proteste dei nostri genitori per la terribile nenia.
Un punto debole di Paolo: la sua altezza. Secondo me si sentiva diverso - più d'uno nell'infanza deve averlo preso in giro per il fatto di essere così grande fisicamente. Non ne ho mai parlato con lui, ma credo che questo problema l'abbia spinto nella vita a cercare di emergere. Era ambizioso, e non uso questo termine in tono negativo. Voleva arrivare in alto e questo non lo condividevo. Il suo sogno era andare ad abitare a Fiesole. A me sembrava una cosa stupida, ma dagli amici si accetta tutto.
Una sua grande qualità: il pragmatismo, la capacità di trasformare in semplice e facile tutto quello che pareva complesso e difficile.Era una dote di famiglia, una famiglia semplice e numerosa (tre sorelle).
Con l'inizio del lavoro, le nostre vite hanno cominciato a separarsi: appena laureato lui andò a Firenzuola a sostituire un medico condotto ammalato, io feci un periodo di internato in ospedale. L'anno successivo Paolo partì per il servizio di leva e quando fu richiamato per continuare la sostituzione a quel medico passò a me quel lavoro. Andai a Firenzuola, il medico morì, e io diventai condotto - e solo dopo due anni e mezzo ebbi il coraggio di lasciare quel lavoro sicuro per ricominciare daccapo a Firenze.
Lui nel frattempo si specializzò in radioterapia e oncologia. Fumava e questo gli causò una lesione precancerosa del faringe. Risolta la questione, riprese a fumare. Lavorava giorno e notte, come assistente e poi sù sù fin alla certezza di diventare primario ospedaliero. Lo sarebbe diventato pochi giorni dopo la sua morte.
Continuammo a vederci, sempre più saltuariamente. Nel frattempo cambiammo casa tutti e due e anche stavolta ci ritrovammo nella stessa via a poche decine di metri.
Nonostante i vari impegni, quasi tutti gli ultimi dell'anno li abbiamo passati insieme. E ci sembrava di essere sempre gli stessi. Che tutto cambiava tranne noi.
Nella chiesa di San Quirico al suo funerale c'erano tutti i suoi colleghi e il loro dolore era vero. Ci era mancato.
Era la prima volta che Paolo aveva dato un esame senza aspettarmi.
Stefano B.
Leggendo i vostri commenti pare proprio che ogni incontro cementi il gruppo, riavvolga il nastro del passato e lo rimescoli ben bene per rispiegarlo oggi, quando tutto - noi per primi - siamo cambiati.
Già, il passato. Io sono uno che non ha mai guardato indietro. Proprio come quando vado giù per una discesa nel bosco, guardo avanti - però non troppo avanti - avanti quel giusto per evitare le buche e indovinare il raggio della prossima curva. Guai a voltarsi indietro quando si va in bici !
Questo atteggiamento mi è stato di grande utilità nella vita. Mi ha consentito di non fare brutti ruzzoloni. Ma ho sicuramente perso qualcosa: è come se sapessi che sono qui, ma non ricordassi più come ci sono arrivato.
Oggi Stefano C. in un suo messaggio mi chiede di ricordare un nostro compagno - Paolo Pacini - lui definitivamente assente dai nostri banchi.
E' molto gentile Stefano:
"Te la sentiresti di tracciare su Blog un ricordo di Paolo Pacini
se come crediamo sei stato quello che gli è stato più vicino negli anni post-liceo ?
Se credi puoi chiedere la collaborazione di altri.
Non è un obbligo, se la cosa ti pesasse puoi passare la mano"
Ecco come si colpisce e affonda uno che il passato lo ha lasciato evaporare per scaldarsi al sole del "qui ed ora".
Perchè in realtà quel passato ce l'ho e la proposta di Stefano (e Roberto) di farmelo tirar fuori di cantina è di grande aiuto per me.
Paolo dunque. Quella notte - era mezzanotte - stava disteso sul suo letto, ancora caldo. Quando arrivai era morto da mezz'ora. Stramazzato in terra mentre era seduto alla tavola di cucina a cena con dei colleghi. Morte improvvisa, in termini medici. Arresto cardiocircolatorio. Nessuna possibilità di soccorso.
Le figlie Giulia e Giovanna piangevano in modo straziante, la moglie, da cui si era separato da poco, era pallida e smarrita. La morte respirava quella notte affannosamente in ogni angolo di quella casetta in cui era andato a vivere da solo. Solo Paolo, vestito in modo elegante come al solito, sembrava non udirla, disteso com'era su quel grande letto, assorto. Era l'unica persona che non dovevo consolare, che non potevo abbracciare.
Quella sera è stata la prima volta che ho sentito la morte vicina.
Perchè io e lui, a lungo, avevamo condiviso tanta parte di vita.
Fin dalla terza liceo, l'anno in cui fui scaraventato dalla sezione L alla prestigiosa sezione C. Abitavamo io all'Isolotto e lui a Legnaia. Così facevamo la strada insieme per andare e tornare da scuola. Non immaginate - o forse sì - quanto sia più decisivo nel legare due persone fare la stessa strada, piuttosto che stare cinque ore nella stessa aula: si dicono stupidaggini, s'impara a sognare in grande. In quarta e in quinta andavamo spesso a piedi - attraversando l'Arno, le Cascine, il Mugnone. Era bello, era facile. Poi - quando Paolo prese la patente, andavamo con la sua 850 azzurra e lui guidava un pò allegro per i miei gusti. Le nostre vite presero a intricarsi sempre di più quando decidemmo di iscriverci a Medicina. Studiavamo insieme e davamo gli esami insieme. Sempre. Una coppia compensata: lui estroverso e ottimista accelerava, io timido e realista frenavo. Il risultato era che si davano gli esami sempre quando eravamo ben preparati. Eravamo una coppia. Tutti e due demmo una tesi in radiologia. Laurea ed esame di stato insieme. Anche i nostri matrimoni furono a brevissima distanza l'uno dall'altro. L'unica differenza fu che lui si sposò in chiesa tutto elegante e io in comune in modo dimesso. Tutti e due andammo ad abitare nella stessa via, in palazzi antistanti.
Andammo anche in vacanza insieme un paio di volte in Val d'Aosta e in Corsica. Ed entrambi diventammo padri due volte.
Era bello andare in giro con Paolo. Le sue battute erano allegre e pungenti. Amava la fotografia e credo che una buona parte di quel piacere che provo a girare con la macchina fotografica al collo me l'abbia trasmesso lui. Passavamo nottate intere a stampare 30x40 in b/n nella sua o nella mia cucina, tutti e due tenevamo per Nikon, e io un pò lo invidiavo perchè la sua fotocamera era superiore alla mia. La nostra amicizia ci plasmava vicendevolmente. Per studiare si camminava a gran passi per la casa, poi uno ascoltava e l'altro ripeteva. Una volta l'avevo convinto a comprarsi un flautino di legno e nelle soste ci si soffiava qualche nota, sopportando le proteste dei nostri genitori per la terribile nenia.
Un punto debole di Paolo: la sua altezza. Secondo me si sentiva diverso - più d'uno nell'infanza deve averlo preso in giro per il fatto di essere così grande fisicamente. Non ne ho mai parlato con lui, ma credo che questo problema l'abbia spinto nella vita a cercare di emergere. Era ambizioso, e non uso questo termine in tono negativo. Voleva arrivare in alto e questo non lo condividevo. Il suo sogno era andare ad abitare a Fiesole. A me sembrava una cosa stupida, ma dagli amici si accetta tutto.
Una sua grande qualità: il pragmatismo, la capacità di trasformare in semplice e facile tutto quello che pareva complesso e difficile.Era una dote di famiglia, una famiglia semplice e numerosa (tre sorelle).
Con l'inizio del lavoro, le nostre vite hanno cominciato a separarsi: appena laureato lui andò a Firenzuola a sostituire un medico condotto ammalato, io feci un periodo di internato in ospedale. L'anno successivo Paolo partì per il servizio di leva e quando fu richiamato per continuare la sostituzione a quel medico passò a me quel lavoro. Andai a Firenzuola, il medico morì, e io diventai condotto - e solo dopo due anni e mezzo ebbi il coraggio di lasciare quel lavoro sicuro per ricominciare daccapo a Firenze.
Lui nel frattempo si specializzò in radioterapia e oncologia. Fumava e questo gli causò una lesione precancerosa del faringe. Risolta la questione, riprese a fumare. Lavorava giorno e notte, come assistente e poi sù sù fin alla certezza di diventare primario ospedaliero. Lo sarebbe diventato pochi giorni dopo la sua morte.
Continuammo a vederci, sempre più saltuariamente. Nel frattempo cambiammo casa tutti e due e anche stavolta ci ritrovammo nella stessa via a poche decine di metri.
Nonostante i vari impegni, quasi tutti gli ultimi dell'anno li abbiamo passati insieme. E ci sembrava di essere sempre gli stessi. Che tutto cambiava tranne noi.
Nella chiesa di San Quirico al suo funerale c'erano tutti i suoi colleghi e il loro dolore era vero. Ci era mancato.
Era la prima volta che Paolo aveva dato un esame senza aspettarmi.
Stefano B.
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