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martedì, aprile 20, 2004

Ciao Massimo, felice di ritrovarti sul gianblog. A grande richiesta, visto che anche Francesco si chiedeva come era nata l’idea di rimetterci insieme, vi dirò che l’idea non è stata mia.
Un giorno mi ha telefonato Stefano Bugetti, di cui non ho mai perso del tutto le tracce. Infatti finché ho abitato a Firenze siamo stati nello stesso gruppo podistico e nello stesso gruppo di trekking. Per tutti quegli anni è stato il mio medico e ogni tanto mi fa ancora delle diagnosi per telefono. Aggiungo che mi ha aiutato in alcuni momenti difficili della mia vita familiare e nel periodo difficile in cui ho abbandonato, il mio lavoro di redattore editoriale. Inutile dire che il periodo doveva essere difficile forte, perché a 50 anni passati non si cambia facilmente lavoro, né viene facilmente voglia di abbandonare quello (di redattore editoriale) che si è fatto per 27 anni, dopo aver fatto ancora prima lavori diversi (nell’ordine: barista, muratore, corniciaio, assicuratore, insegnante di scuola media, operaio metalmeccanico.
La telefonata del Bugetti mi ha rimesso in contatto con l’altro Stefano, Curatolo, rivisto in tutti questi anni un paio di volte, di cui la prima me lo ero trovato come medico quando avevo dovuto fare una vaccinazione obbligatoria per le corse podistiche: era lui il vaccinatore ed era lui che per primo ha avuto l’idea e la voglia di rimetterci insieme. Ma l’idea mi è piaciuta, perché le poche volte che ho rivisto o sentito dei compagni di allora (l’incontro con la Maria del 1986, Francesco a Bologna qualche anno fa e poche altre occasioni) ho avuto l’impressione che ci fossimo lasciati solo da qualche giorno, un’impressione netta e costante, malgrado “gli insulti del tempo”, malgrado le strade diverse, malgrado i luoghi diversi.
Evidentemente c’erano dei valori in comune. Quali? La solidarietà verso l’oppressione che esercitavano alcuni insegnanti verso di noi (quella che si faceva sentire di più era la Maria, ma mi sembra chiaro che ora viene individuata da più d’uno di noi come un’oppressione benedetta, che ci ha forgiato i caratteri e resi resistenti alle intemperie della vita). La ricerca comune di scoprire una società e un mondo diversi e più grandi, fuori dalla scuola e dalla famiglia, vista allora come soffocante e repressiva. Questo a livelli diversi per ciascuno di noi, si intende, ma c’era una ricerca evidente di luoghi sempre più lontani, da visitare possibilmente in piccoli gruppi, fra noi, senza familiari. Qualcuno arrivò fino in India e per quello che mi riguarda, molti anni dopo avevo incontrato di nuovo Marco Chiancone, che non era in classe con noi, ma faceva parte senza dubbio dei piccoli gruppi alternativi alle rispettive famiglie. Marco abitava a Roma, ma abbiamo lavorato poi per anni agli stessi libri, sentendoci quasi tutti i giorni per telefono, con le bozze che viaggiavano per posta o per corriere, ed è stato uno degli amici più stretti. Aggiungo che qualcuno di noi ha provato poi negli anni successivi (il ’68 in Italia è durato diversi anni) a cambiare, in vari modi, il mondo che non gli piaceva e a costruirne uno più bello. Francesco ha ragione: il ’68 vero, gli anni successivi al 1968, non eravamo più insieme e ognuno l’ha vissuto in modo diverso, con tentativi diversi: a Cercina Claudio, che non vedevo più da 36 anni, ha detto che si era chiesto se io “e quella ragazza “ non eravamo finiti nelle brigate rosse. Macché, lei è finita negli “arancione“, i seguaci del guru indiano Bhagwan Rajneesh, che ha spiegato agli occidentali che il mondo è perfetto così com’è, basta saperlo prendere con la saggezza indiana.
Io, dopo aver seguito Gracci, ex capo partigiano, morto di recente, e poi Brandirali, ex capo dell’Unione dei comunisti italiani marxisiti leninisti (che ora fa il vice di Formigoni, a Milano), ho provato ad agire in proprio facendo l’operaio a Torino. Mi hanno licenziato dopo due anni, durante le lotte per il rinnovo dei contratti del 1973, ma mi sono rimaste delle belle amicizie. Dopo mi sono chiuso per un pezzo nel ‘mio particulare’ , come diceva Guicciardini. Negli anni successivi ho lavorato per la De Agostini (e mi è tornato comodo l’inglese, per il quale tutti ci ricordiamo del Chiti, mentre nessuno considera la Dionigi, e concordo). Poi sono successe tante cose, ma le riassumo dicendo che amicizie che consideravo solide non hanno retto di fronte al valore che evidentemente era più importante di tutti:

fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatrare,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
(Inferno XIX, 112-114)

Per farla breve, ho avuto l’impressione che fra noi ci siano ancora valori in comune, o forse sono solo dei ricordi in comune? Mi sembrano domande di poca importanza: chi ha detto, so che mi piacciono i fiori, anche se non saprei dirvi perché? (e chiederlo ai fiori, aggiungo io, sarebbe ancora più inutile). Pertanto mi fa piacere che ci troviamo insieme. Tutto questo mi ricorda qualcosa:

Guido, io vorrei che tu e Lapo ed io,
fossimo presi per incantamento
e posti in un vasel , che ad ogni vento
potesse andare a voler vostro e mio…
(con quel che segue)

Aggiungo che noi, per ora privi di vascello, potremmo vederci nel Mugello. O forse abbiamo un vascello virtuale, dove possiamo trovarci tutte le volte che ne abbiamo voglia. Che ne dite di battezzarlo gianblog?

Gnamo lo gnomo
(dalla buca delle fate)

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